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Vaccino Covid, 1 o 2 dosi? Quello che c’è da sapere

Da Redazione Ultimenews24.it
5 Marzo 2021
In Attualità
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Vaccino Covid, 1 o 2 dosi? Quello che c’è da sapere
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Coronavirus in Italia e vaccino anti Covid, quante dosi? E a distanza di quanto e a chi? Su questo e altri dubbi prova a fare chiarezza, in un intervento pubblicato su ‘La Repubblica’, l’immunologo Alberto Mantovani, direttore scientifico dell’Istituto clinico Humanitas. Ecco quello che c’è da sapere sulle evidenze scientifiche da considerare nel dibattito nato fra i sostenitori del modello ‘una dose di vaccino subito a tutti’ e i ‘fedeli’ alle indicazioni approvate dalle agenzie regolatorie. 

Sì a una sola dose di vaccino anti coronavirus ai guariti da Covid-19; sì a una dose di vaccino AstraZeneca, rimandando il pensiero della seconda che si può somministrare a distanza di 3 mesi; no a una singola dose di vaccini a mRna, per i quali la seconda va fatta e somministrata entro i tempi previsti. Questi prodotti, infatti, “sono nati per essere somministrati in due dosi: dopo la prima danno una protezione significativa, ma decisamente inferiore rispetto a quella che si ottiene dopo due dosi”, spiega Manovani. 

L’analisi dello scienziato comincia dai guariti. “E’ recentissima – ricorda – l’indicazione ufficiale, da parte del Consiglio superiore di sanità, di somministrare una sola dose di vaccino a chi è stato malato di Covid-19. Alla base di questa decisione, che fa seguito alle raccomandazioni di Aifa, i due primi studi sui vaccini a mRna (Pfizer/ BioNTech e Moderna) di Florian Krammer e di Maria Rescigno in Humanitas, messi rapidamente in condivisione con la comunità scientifica in open access, insieme ad altri lavori successivi fra cui quello di Francesco Annunziato a Firenze: un contributo concreto della ricerca scientifica rigorosa e condivisa, che può farci risparmiare 2 milioni di dosi e aiutarci ad attraversare non solo il tunnel di questa fase critica, ma anche le sfide che abbiamo davanti. Oggi più che mai, dunque, è importante riflettere sul ruolo della ricerca nella lotta a Covid 19”.  

Ma su chi invece non ha contratto l’infezione, “che cosa ci dicono i dati disponibili? Partiamo da una distinzione”, premette Mantovani: “I vaccini anti Sars-CoV-2 si basano su due piattaforme, adenovirus e mRna. La piattaforma adenovirus (come Oxford-AstraZeneca, Johnson & Johnson, ReiThera) si basa su virus attenuati e i vaccini realizzati con questa tecnologia – al cui sviluppo ha dato un contributo fondamentale, in Italia, Riccardo Cortese, un pioniere purtroppo deceduto – sono stati originariamente pensati per essere somministrati in dose singola”. Gli altri, quelli a mRna, no. 

“Nel corso della sperimentazione clinica” sul vaccino AstraZeneca, “il gruppo di Oxford ha introdotto una seconda dose per migliorare il livello e la durata della risposta immunitaria – sottolinea l’immunologo – Non sorprende, dunque, che i dati ottenuti con questo vaccino mostrino che, con la sola prima dose, si è protetti fino a 3 mesi, il tempo ora indicato per la seconda somministrazione. Per il nostro Paese, dunque, nessun problema di ritardo della seconda dose, dato che fra 2-3 mesi dovremmo essere usciti dal tunnel della scarsità di vaccini”.  

“Diverso il discorso”, e diversi “i dati, per i vaccini a mRna (Pfizer-BoNTech, Moderna): una tecnologia innovativa, ma una logica di tempi simile a quella dei vaccini tradizionali che richiedono una prima dose e un successivo (a volte più di uno) richiamo”, puntualizza Mantovani. “I dati ‘sul campo’, in Israele, ci parlano ad esempio di una protezione dalle forme più gravi di malattia del 62% dopo la prima somministrazione, che diventa del 92% dopo la seconda dose. Ancora, dopo una sola dose non sappiamo quanto durino – oltre i 20 giorni – la protezione e la risposta immunitaria”. 

“Nella letteratura scientifica – precisa ancora lo scienziato – non vi è nessun dibattito sul ‘non fare’ una seconda dose di un vaccino a mRna: la domanda è solo ‘se e quanto posticiparla’. Personalmente, seguendo i dati, credo sia meglio effettuarla rispettando il più possibile l’intervallo dei 20-40 giorni, come indicato dall’Organizzazione mondiale della sanità. La Società italiana di igiene e medicina preventiva suggerisce, sulla base di sagge considerazioni di salute pubblica, che si può ritardare arrivando fino a 2 mesi”.  

“Quali sono i rischi del ritardo di una seconda dose di vaccini a mRna oltre tali limiti? Consideriamo che una dose singola potrebbe dare una risposta immunitaria insufficiente per durata, quantità e qualità: una condizione che potrebbe favorire l’emergere di varianti che sfuggono al nostro sistema di difesa. Tony Fauci, che ha definito ‘irrinunciabile’ la seconda dose – evidenzia Mantovani – rispetto al rischio che un ritardo della stessa favorisca l’emergere di varianti, ha dichiarato: ‘It may not be the case but it gets risky’. Ovvero: ‘Potrebbe non accadere, ma c’è il rischio’. E c’è anche un secondo rischio: trasmettere un messaggio sbagliato a chi ha ricevuto una prima dose e potrebbe essere tentato di non fare la seconda”.  

“Ricordiamolo: anche con i vaccini tradizionali non tutte le persone effettuano, come dovrebbero, i richiami. Indispensabile, dunque – esorta l’immunologo – fare ricerca, per ottenere al più presto dati certi in merito alla risposta immunitaria associata a ritardo nella seconda dose di un vaccino a mRna. Un tema analogo – osserva ancora lo scienziato – si pone anche per le persone fragili, che hanno un sistema immunitario compromesso. Una parte dei pazienti oncologici, reumatologici, con patologie neurodegenerative che possiamo curare ma che, se si ammalano di Covid-19, sono a gravissimo rischio. Non sappiamo, ad esempio, se e in quali condizioni di immunosoppressione i vaccini attivino una risposta immunitaria adeguata ed efficace. Una domanda cui si pone l’obiettivo di rispondere al più presto un Consorzio guidato da Giovanni Apolone e Massimo Costantini e di cui fanno parte molti Irccs italiani”.  

“In conclusione, le dosi di vaccino anti Covid 19, assolutamente indispensabili – conclude il direttore scientifico dell’Irccs Humanitas – non possono non essere accompagnate da robuste iniezioni di ricerca scientifica, che rispondano alle questioni aperte il prima possibile, per il bene dei singoli e delle comunità”. 

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