(Adnkronos) – Va in scena alla Scala "Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk" di Dmitrij Šostakovič, opera che nel 1934 provocò scandalo e ammirazione, ma che ben presto fu stroncata dalle autorità sovietiche e bandita da Stalin in persona. La nuova stagione d'opera del Piermarini, che sarà inaugurata domenica 7 dicembre con la Prima sotto la direzione di Riccardo Chailly e la regia di Vasily Barkhatov, celebra il cinquantesimo anniversario della morte del compositore russo, ricordando la drammatica vicenda che vide l'opera trasformarsi da capolavoro acclamato a simbolo delle pressioni ideologiche e della censura nel cuore del regime comunista. L'opera, tratta dal romanzo di Nikolaj Leskov e ambientata nella Russia rurale degli anni '60 dell’Ottocento, racconta la vicenda di Katerina Izmajlova, giovane donna costretta a un matrimonio infelice con un possidente debole e sottomessa alle angherie del suocero. La passione proibita per il garzone Sergej sfocia in una scia di omicidi, vendette e tragedia, culminando in un finale di disperazione e morte. Šostakovič, autore anche del libretto, concepì il lavoro come prima parte di un trittico dedicato alla condizione della donna nelle diverse epoche della storia russa, ma la crudezza del racconto e il realismo spietato dei personaggi portarono l'opera rapidamente nel mirino del regime di Stalin. Dopo la doppia prima a Leningrado e Mosca nel gennaio 1934, l'opera riscosse un successo clamoroso: duecento rappresentazioni in due anni e l'entusiasmo del pubblico, conquistato dalla modernità della scrittura musicale e dalla combinazione di folklore russo e innovazione orchestrale. Tuttavia, come ricorda la celebre cantante Galina Vishnevskaya nelle sue memorie, la situazione politica stava cambiando rapidamente. I compositori legati all'ex-Proletkult, precedentemente criticati da Šostakovič, avevano assunto posizioni chiave nell'Unione dei Compositori, mentre Ždanov, nuovo responsabile della cultura del Partito Comunista, impose direttive di ottimismo, eroi positivi e finali lieti. Nel gennaio 1936 Stalin assistette personalmente a una rappresentazione dell'opera e, poco dopo, un articolo della "Pravda" decretò la condanna di "Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk", imponendo la sua rimozione dal repertorio ufficiale per "pornofonia". Il compositore fu costretto a subire un lungo periodo di ostracismo, durato fino agli anni di Krusciov, quando accettò di curare una versione emendata intitolata "Katerina Ismailova", andata in scena a Mosca nel 1963. In questa versione, le scene di erotismo più esplicite furono soppresse e il linguaggio musicale rese più dolce e accessibile, privando l'opera della sua tensione originaria e della violenza emotiva che la caratterizzava. Il ritorno alla Scala rappresenta dunque non solo un omaggio al genio compositivo di Šostakovič, ma anche un recupero della sua libertà artistica, violata dal regime sovietico. Riccardo Chailly, alla sua dodicesima inaugurazione di stagione al Piermarini, racconta il suo legame personale con il compositore: "Tutto cominciò nel 1972, quando avevo 19 anni. Assistetti alle prove e alle rappresentazioni de Il naso di Šostakovič dirette da Bruno Bartoletti, con la regia di Eduardo De Filippo. Rimasi stordito per giorni. Mi colpì enormemente la modernità, il coraggio di affrontare un testo di Gogo' in quel modo". La partitura di "Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk" si distingue per contrasti drammatici e straordinaria complessità orchestrale. Da una parte, l'uso sapiente della politonalità e la capacità di fondere melodie popolari russe con elementi mitteleuropei, come la citazione dell'Abschied dal Lied von der Erde di Gustav Mahler nel quarto atto, conferiscono profondità psicologica alla protagonista, alla quale Šostakovič riesce a dare un'umanità tormentata e contemporanea. Dall'altra, la presenza del grottesco e dell'umorismo nero emerge in passaggi come il canto del prete dopo l'avvelenamento di Boris, che richiama quasi un'atmosfera da operetta tragica e satirica. Il musicologo Franco Pulcini sottolinea come "l'alchimia orchestrale del quarto atto raggiunga effetti lugubri e sconvolgenti. La passacaglia del secondo atto è un momento di puro terrore musicale, e l'ultimo atto, di abissale pessimismo, è un capolavoro di presa diretta emotiva". Nonostante la tragedia, la scrittura di Šostakovič resta incredibilmente moderna, combinando tradizione e innovazione in un equilibrio unico che ha fatto dell’opera un esempio paradigmatico del dramma musicale del XX secolo. La produzione alla Scala vanta un cast internazionale di primo piano, con Sara Jakubiak nel ruolo di Katerina, Najmiddin Mavlyanov, Yevgeny Akimov e Alexander Roslavets, mentre scene, costumi e luci sono affidati rispettivamente a Zinovy Margolin, Olga Shaishmelashvili e Alexander Sivaev. L'opera sarà trasmessa in diretta su Rai1 e Rai Radio3 dalle 17.45, con un'anteprima Under30 giovedì 4 dicembre, offrendo anche ai più giovani l'occasione di confrontarsi con una pagina storica della musica e con le tensioni tra arte e potere. La storia dell'opera alla Scala è anch'essa segnata dalla censura e dal recupero artistico. La versione emendata del 1963 non aveva trovato subito spazio a Milano, ma nel maggio 1964 l'opera venne finalmente rappresentata al Piermarini con la direzione di Nino Sanzogno e la regia di Milo Wasserbauer, e Inge Borkh nei panni di Katerina. Negli anni successivi, Mstislav Rostropovich si batté per far riscoprire la versione originale, in un'opera di recupero artistico e politico che culminò con la prima rappresentazione integrale a Milano solo nel 1992, seguita da nuove produzioni nel 2007 e oggi nel 2025, per celebrare una stagione che unisce memoria, bellezza e riflessione storica. Tornare a rappresentare "Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk" significa dunque non solo ascoltare la musica straordinaria di Šostakovič, ma anche confrontarsi con la storia di un'opera che pagò il prezzo del dissenso e della libertà creativa. Alla Scala, il compositore russo può finalmente essere apprezzato nella sua visione completa: un dramma umano intenso, crudele e sorprendentemente moderno, capace di raccontare la violenza, la passione e la ribellione di una donna che non si piega alle ingiustizie. In un mondo in cui l'arte è spesso al centro di tensioni politiche e sociali, la nuova produzione milanese ricorda quanto la musica possa essere potente testimone della libertà e della dignità creativa, e quanto il recupero della memoria artistica sia necessario per comprendere pienamente il valore di un'opera e del suo autore. (di Paolo Martini)
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