(Adnkronos) – Di Israele si continua a parlare quasi esclusivamente attraverso il prisma della guerra a Gaza, delle polemiche politiche e delle fratture diplomatiche che attraversano l’Europa e l’opinione pubblica occidentale. Ma questa narrazione rischia di oscurare una realtà parallela e altrettanto decisiva: Israele oggi è uno dei nodi strategici più rilevanti nello spazio euro-mediterraneo e mediorientale sul piano tecnologico, energetico e della sicurezza. E lo dimostrano una serie di accordi conclusi o rilanciati proprio nelle ultime settimane. Negli ultimi quindici anni Israele ha progressivamente costruito un profilo che va oltre quello di attore militare regionale. È diventato un fornitore di sicurezza, un hub tecnologico globale e un pilastro emergente dell’architettura energetica del Mediterraneo orientale. Questa traiettoria non è stata interrotta dalla guerra a Gaza; al contrario, in alcuni settori ne è uscita rafforzata. Il dato politico di fondo è che, mentre il dibattito pubblico europeo resta concentrato sulle sanzioni, sulle prese di posizione diplomatiche e sulle mozioni parlamentari, governi e apparati industriali continuano a considerare Israele un partner strategico difficilmente sostituibile. L’accordo da 2,3 miliardi di dollari tra Elbit Systems e gli Emirati Arabi Uniti per lo sviluppo congiunto di un avanzato sistema di difesa elettronica aeronautica è uno dei segnali più chiari della solidità delle relazioni israelo-emiratine. Non si tratta di una semplice fornitura di armamenti, ma di un programma pluriennale, stimato tra gli otto e i dieci anni, che prevede co-sviluppo, integrazione industriale e condivisione tecnologica. Un passaggio di questo tipo implica un livello di fiducia molto elevato. I sistemi di guerra elettronica e autoprotezione degli aeromobili sono tra le tecnologie più sensibili in assoluto, perché toccano direttamente la capacità di sopravvivenza di velivoli civili e militari in scenari ad alta intensità. Il fatto che il contratto sia stato approvato e supervisionato dal ministero della Difesa israeliano indica che Tel Aviv considera questa cooperazione non solo compatibile, ma funzionale alla propria strategia di sicurezza regionale. Sul piano politico, il messaggio è altrettanto forte: gli Accordi di Abramo, il patto firmato nel 2020 con Stati Uniti, Emirati, poi Bahrein, Marocco, Sudan e Kazakistan, non sono rimasti una cornice diplomatica, ma si sono trasformati in una vera architettura di sicurezza, capace di resistere anche alle tempeste generate dalla guerra di Gaza. D’altronde, l’avvicinarsi nel 2023 della firma anche dell’Arabia Saudita è stata una delle cause scatenanti del 7 ottobre: l’Iran e i suoi proxy regionali non potevano permettersi il compimento di questo asse tra Stato ebraico e stati sunniti dal Nord Africa al Golfo. Ancora più significativo, per l’Europa, è il maxi-accordo tra Israele e Germania sul sistema di difesa antimissile Arrow-3. Berlino ha deciso di espandere l’acquisizione con un ulteriore ordine da 3,1 miliardi di dollari, portando il valore complessivo del programma a oltre 6,7 miliardi. È il più grande accordo per la difesa mai firmato da Israele. Arrow-3 non è un sistema qualsiasi. È progettato per intercettare missili balistici al di fuori dell’atmosfera terrestre e rappresenta uno dei livelli più avanzati di difesa antimissile al mondo. Ha permesso a Israele di proteggersi dai due massicci attacchi missilistici iraniani. La sua integrazione nella Bundeswehr rientra nella European Sky Shield Initiative, il progetto con cui la Germania punta a costruire uno scudo europeo contro minacce missilistiche provenienti da est e dal Medio Oriente. Il dato politico è evidente: nel momento in cui l’Europa parla di autonomia strategica e di rafforzamento della propria difesa, sceglie una tecnologia israeliana tra i pilastri centrali. Se la difesa racconta una parte della storia, l’energia ne racconta un’altra altrettanto rilevante. L’approvazione dell’accordo da 35 miliardi di dollari per l’esportazione di gas israeliano verso l’Egitto rappresenta il più grande deal economico mai concluso da Israele. Il gas proveniente dai giacimenti di Leviathan e Tamar (che si trovano nel Mediterraneo di fronte alla costa israeliana) è destinato agli impianti di liquefazione egiziani, per poi essere esportato sui mercati internazionali, inclusa l’Europa. In un contesto segnato dalla riduzione delle forniture russe e dalla ricerca di nuove fonti affidabili, Israele si è ritagliato un ruolo strutturale nella sicurezza energetica europea, seppur indiretta. Questo accordo rafforza anche il legame Israele-Egitto, spesso sottovalutato nel dibattito pubblico. Il Cairo non è solo un partner commerciale, ma un attore centrale nella stabilizzazione del Mediterraneo orientale, e il gas israeliano diventa uno strumento di interdipendenza strategica. Dietro questi accordi c’è un fattore strutturale: l’ecosistema tecnologico israeliano. Dalla cyber-security alla difesa antimissile, dalla guerra elettronica all’intelligenza artificiale applicata alla sicurezza, Israele ha costruito un vantaggio competitivo difficilmente replicabile nel breve periodo. Questo vale tanto per i Paesi del Golfo quanto per l’Europa. Le aziende israeliane non vendono solo prodotti, ma soluzioni integrate, spesso sviluppate in contesti operativi reali. È un elemento che pesa enormemente nelle scelte di governi e forze armate, soprattutto in una fase in cui le minacce sono percepite come concrete e immediate. Il paradosso, soprattutto in Europa, è evidente. Da un lato cresce la pressione politica e mediatica su Israele per Gaza; dall’altro, gli Stati europei firmano o espandono accordi miliardari proprio nei settori più sensibili: difesa, energia, tecnologia critica. È una frattura tra discorso pubblico e decisioni strategiche che racconta molto delle priorità reali dei governi. Israele, nel frattempo, continua a muoversi su più piani: rafforza le alleanze regionali nate con gli Accordi di Abramo, consolida il rapporto con i grandi Paesi europei e si propone come attore imprescindibile nei dossier energetici del Mediterraneo. Chi vuole capire davvero il posizionamento del Paese deve guardare a questi accordi, più che alle dichiarazioni di giornata. È lì, nei contratti firmati e nelle interdipendenze costruite, che si misura la reale centralità di Israele negli equilibri dei prossimi dieci anni.
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