Grazie alle innovazioni degli ultimi anni, le intelligenze artificiali (IA) hanno progressivamente alzato l’asticella delle proprie prestazioni nei videogiochi, passando da sistemi specializzati in Pac-Man o Atari a agenti capaci di affrontare ambienti complessi e persino mondi aperti. Ma cosa accade “dietro le quinte”, quando un’IA viene messa alla prova in un videogioco? È corretto dire che può “vincere” e in che senso?
Una delle imprese più significative è rappresentata da MuZero, l’algoritmo sviluppato da DeepMind che apprende non solo le strategie ma le stesse regole del gioco, senza che queste gli siano impartite a priori. In giochi come Go e scacchi e altri titoli della libreria Atari, MuZero ha raggiunto prestazioni pari o superiori a quelle di algoritmi che erano stati programmati con conoscenza esplicita delle regole. Il trucco sta nella capacità di costruire un proprio modello dell’ambiente, concentrandosi solo su quegli aspetti che rilevano per il processo decisionale: “nessuna regola, nessun problema” è uno slogan spesso associato al progetto.
Nel dominio dei videogiochi 3D e sandbox, un risultato recente ha attirato l’attenzione: un sistema IA è riuscito a raccogliere diamanti in Minecraft senza alcun addestramento specifico. In questo contesto, l’agente affronta una mappa sconosciuta, esplora, scava e cerca risorse preziose sfruttando la percezione visiva e una strategia di esplorazione interna, senza “sapere” a priori dove cercare. Ciò suggerisce che l’IA non debba essere necessariamente imboccata con istruzioni precise del gameplay, ma possa strutturare comportamenti efficaci in ambienti fortemente dinamici, rispondendo agli stimoli che riceve.
Anche in relazione a Pokémon vengono condotti esperimenti del genere. Recenti report indicano che modelli come Gemini (che fanno parte dell’ecosistema AI di Google) stanno tentando di comportarsi come allenatori: scegliendo mosse, prevedendo evoluzioni e adattandosi in battaglia. Partendo da dati sparsi e senza strategie codificate rigidamente, tali modelli mostrano come un’IA possa gestire giochi strategici non lineari e con regole complesse che evolvono nel tempo.
Quando l’IA affronta un videogioco, spesso mette in mostra due modalità comportamentali: l’esplorazione e lo sfruttamento. All’inizio l’agente “prova” mosse a caso, osserva le conseguenze e costruisce un modello interno della dinamica del mondo. Gradualmente privilegia mosse che hanno prodotto alto rendimento e scarta in autonomia quelle ritenute fallimentari, vale a dire quelle che non hanno avuto un impatto sul gameplay. In giochi ben definiti, ciò può condurre a strategie sorprendenti e non intuitive, talvolta più robuste di quelle umane. Tuttavia, in giochi in tempo reale con molte variabili (ad esempio gestione di risorse, cooperazione o informazioni incomplete), le IA tendono a dipendere molto da simulazioni interne e semplificazioni derivate dalla rete neurale.
Un elemento determinante in questo percorso è la presenza delle regole. Anche quando un’IA scopre da sé meccanismi di gioco, essa deve assorbirne le fondamenta. L’IA sembra talvolta voler fare a meno delle regole e di determinate linee di condotta, eppure dall’alba dei tempi anche chi si approccia per la prima volta a una qualsiasi forma di intrattenimento ludica deve quantomeno apprenderne anzitempo i concetti basilari, così come succede nei giochi da tavolo per bambini, nel poker per principianti o in attrazioni più sofisticate come gli scacchi, per esempio. In mancanza di tali vincoli, un’IA può imboccare soluzioni “creative” che violano l’intento del gioco (generando così dei bug, cioè degli errori di sistema) anziché ingaggiare la sfida “pulita”.
La risposta alla domanda iniziale va quindi calibrata: sì, un’IA può raggiungere prestazioni superiori a quelle umane in molti contesti, generando mosse originali, reagendo velocemente e massimizzando ricompense anche in ambienti complessi. Tuttavia, esiste un ma importante: “vincere” non significa necessariamente giocare come un umano. L’IA non è vincolata a stile, fair play o scenari narrativi coerenti. Le sue vittorie sono spesso il risultato di calcoli, simulazioni interne e strategie che, pur valide, possono risultare alienanti dal punto di vista dell’esperienza ludica.
In scenari futuri, l’obiettivo è spostarsi verso ambienti più vicini all’esperienza umana, vale a dire mondi con regole mutevoli, cooperazione e comunicazione. In questi casi l’IA dovrà non solo giocare “bene”, ma comprendere obiettivi, regole implicite e contesto sociale. In mezzo, già oggi, alcuni sistemi superano gli umani, e altri si avvicinano: non è una questione tanto di “se” quanto di “come” e “in quale tipo di gioco”.










