(Adnkronos) – Da anni le autorità italiane – dal Garante Privacy ad Agcom, passando per Arera – moltiplicano interventi, sanzioni e nuove regole nel tentativo di arginare l’assalto quotidiano delle chiamate moleste. Eppure il telemarketing aggressivo non solo sopravvive: prospera. Le telefonate irregolari aumentano, i numeri fasulli si moltiplicano e milioni di utenti continuano ad essere disturbati ogni giorno. Il motivo? Come spiega all'Adnkronos Matteo Flora – Docente di AI Safety e Crisis Management, imprenditore – partendo da un suo approfondimento realizzato per il suo podcast Ciao Internet, non è un problema di mancanza di strumenti: è un problema di incentivi economici, di architettura del sistema telefonico e di una filiera industriale che rende quasi impossibile fermare il fenomeno. Che in questi giorni si è trasformato: sono diminuite le chiamate dall’Italia ma si sono impennate quelle dalla Francia, dal Belgio, da strani prefissi stranieri dietro ai quali ci sono sempre gli stessi attori.
Perché non si può semplicemente "bloccare l'estero"?
A prima vista la soluzione sembrerebbe semplice: se le chiamate arrivano da fuori, basterebbe bloccarle. Ma come emerge dall'approfondimento tecnico di Flora, Agcom ha ragione nel definire l'operazione tecnicamente e normativamente impossibile. Esiste una normativa internazionale delle telecomunicazioni che garantisce l’interoperabilità di tutte le reti mondiali: un numero italiano deve poter ricevere chiamate da qualsiasi parte del mondo, che sia un parente in viaggio o un'azienda partner. Non esistono "dogane digitali" selettive: le chiamate entrano attraverso frontiere logiche di interconnessione e, in assenza di accordi bilaterali globali (attualmente inesistenti), non è possibile distinguere a priori se una chiamata proveniente dal Regno Unito o dalla Cina sia di uno spammer o di un contatto legittimo. Bloccare il traffico internazionale significherebbe isolare telefonicamente l'Italia.
Attenzione: la truffa dello "Squillino" (Wangiri)
C'è però una distinzione fondamentale da fare tra il telemarketing aggressivo (spesso proveniente da numerazioni europee come Francia o Grecia per questioni di tariffe agevolate) e le chiamate che in molti stanno ricevendo da prefissi esotici, come il +241 (Gabon). In questo secondo caso, non siamo di fronte a tentativi di vendita, ma a una frode basata sulla terminazione, nota come Wangiri o "truffa dello squillino". Chi chiama non vuole parlare: fa uno squillo e riaggancia sperando che l'utente, incuriosito o preoccupato, richiami. Il guadagno per i truffatori risiede nelle altissime tariffe di terminazione internazionale che vengono addebitate all'utente nel momento in cui effettua quella chiamata di ritorno. Il primo dato da tenere in considerazione per il "vero" telemarketing, invece, è la dimensione del mercato. Il telemarketing resta uno dei principali canali di acquisizione clienti per energia, gas e telefonia. Nel solo 2024, secondo i dati riportati da Flora, sono stati effettuati circa un milione e mezzo di cambi di fornitore nel settore energetico: tra il 60 e il 70% sono avvenuti per telefono. Significa che ogni anno tra 900mila e un milione di contratti vengono chiusi grazie a una chiamata. A questo si aggiungono i contratti telefonici per la telefonia mobile: circa il 20% delle nuove attivazioni arriva ancora dai call center. Il giro d’affari complessivo, considerando i valori medi dei contratti residenziali, si colloca tra 600 milioni e un miliardo di euro. È questa massa critica a spiegare perché, nonostante sanzioni anche molto pesanti, il sistema non cambia: se guadagni centinaia di milioni, una multa da qualche milione diventa semplicemente un costo di esercizio. Il problema, però, non è solo economico. A rendere il sistema così resiliente è la struttura stessa delle operazioni di telemarketing: una catena di deleghe, subappalti e micro-call center che rende difficilissimo individuare i responsabili. Le grandi utility affidano le campagne a intermediari che, a loro volta, si appoggiano a centri esteri o a realtà poco controllate. Sulla carta il Gdpr, il regolamento europeo sui dati che in questo momento è oggetto di revisione con il Digital Omnibus, obbliga l’azienda mandante a garantire che tutta la filiera rispetti le norme sulla protezione dei dati personali. Nella realtà, come mostra la lunga lista di provvedimenti del Garante privacy, i controlli sono spesso inesistenti o inefficaci: database acquisiti illegalmente, contatti generati senza consenso, aziende che “non sanno” da dove provengano i numeri su cui lavorano. Ed è proprio questa frammentazione delle responsabilità a creare l’effetto più devastante: non si riesce mai a risalire al vero responsabile della chiamata. Anche gli strumenti pensati per proteggere gli utenti mostrano i loro limiti. Il Registro pubblico delle opposizioni, esteso ai cellulari dal 2022, avrebbe dovuto mettere fine alle chiamate indesiderate. Invece, secondo le statistiche citate da Flora, circa la metà degli iscritti continua a ricevere telefonate moleste. Il motivo è semplice: il Registro funziona solo con gli operatori che rispettano la legge. Per gli altri, soprattutto quelli che agiscono fuori dal territorio nazionale o operano ai margini del sistema, è una barriera inesistente. A dare il colpo di grazia sono le tecniche di spoofing, la falsificazione del numero chiamante. È il motivo per cui l’utente vede comparire sul display un numero con il prefisso della propria città, ma quando richiama la risposta è sempre la stessa: “Il numero non esiste”. Lo spoofing rende impossibile risalire all’origine della chiamata e permette ai call center illegali di operare in totale anonimato. Agcom ha introdotto nuove misure anti-spoofing che, secondo i dati comunicati dall’Autorità, hanno già bloccato decine di milioni di chiamate falsificate.
Il paradosso del Roaming
Tuttavia, anche i filtri più avanzati hanno un punto debole strutturale. Il sistema di blocco Agcom ferma le chiamate che appaiono come numeri italiani (fissi o mobili) ma che provengono tecnicamente dall'estero. Esiste però un'eccezione legittima che i filtri devono lasciar passare: il roaming. Se un utente italiano si trova davvero all'estero e chiama casa, la sua chiamata deve essere connessa. Gli spammer più sofisticati possono sfruttare questo varco con un attacco statistico: simulando migliaia di numeri mobili italiani, statisticamente alcuni di questi corrisponderanno a utenti realmente in viaggio all'estero in quel preciso momento. Per la rete telefonica, quella chiamata fraudolenta diventa indistinguibile da quella legittima di un turista, aggirando così il blocco fino a quando il vero utente non rientra o il sistema non rileva l'anomalia. Ma i limiti della rete telefonica – un’infrastruttura progettata decenni fa, basata sulla fiducia nell’identità dichiarata della chiamata – rendono impossibile costruire un filtro perfetto. Le misure funzionano parzialmente e per un periodo limitato: chi vuole aggirarle trova sempre un modo, spesso semplicemente cambiando tecniche o sfruttando nuove finestre temporali prima dell’entrata in vigore definitiva dei blocchi. Anche il quadro delle sanzioni racconta un paradosso: arrivano, sono severe, ma non cambiano nulla. Le multe arrivano anni dopo la violazione, non colpiscono direttamente i call center illegali – spesso inesistenti o già chiusi – e risultano comunque marginali rispetto ai profitti generati.
Le nuove regole Arera, in vigore dal gennaio 2025, provano a riequilibrare i rapporti: obbligo di inviare le condizioni contrattuali su supporto durevole, necessità di una conferma esplicita da parte del consumatore prima che il contratto sia valido, e trenta giorni di ripensamento in caso di visite non richieste o eventi promozionali. Anche qui, però, l’efficacia è limitata: gli operatori più aggressivi troveranno probabilmente modi per aggirare il sistema, come accaduto con tutti gli strumenti precedenti. E così si arriva al punto finale, la vera chiosa del ragionamento di Flora: l’unica soluzione realmente efficace è quella che nessuno vuole prendere in considerazione. La Spagna la sta valutando e, se approvata, sarebbe un cambio di paradigma radicale: vietare del tutto la possibilità di concludere un contratto per telefono. La proposta prevede di consentire soltanto un primo contatto informativo, obbligando invece la sottoscrizione finale a passare da un canale tracciabile – un negozio fisico, una firma digitale, una procedura documentata. Sarebbe un colpo mortale per le truffe telefoniche e cancellerebbe alla radice il problema dei contratti non richiesti. Ma allo stesso tempo farebbe sparire un mercato da centinaia di milioni di euro all’anno. Per questo, nonostante la spinta di associazioni di consumatori e alcuni parlamentari, nel nostro Paese il dibattito resta timido. Il vero nodo non è tecnologico, né regolatorio. È economico. Finché un milione di contratti all’anno verranno chiusi al telefono, il telemarketing aggressivo sarà semplicemente troppo redditizio per scomparire. E le telefonate moleste continueranno a suonare. (di Giorgio Rutelli)
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