Partiamo da una citazione: “La storia è leggera al pari delle singole vite umane. Insostenibilmente leggera, leggera come una piuma, come la polvere che turbina nell’aria, come qualcosa che domani non ci sarà più.” Ma è davvero tutto così leggero? Leggendo il tuo libro si ha l’impressione che lo stile voglia rendere piacevole (riuscendoci benissimo) una materia che in realtà è pesante.
La citazione di Kundera tratta da L’Insostenibile leggerezza dell’essere è un omaggio a un romanzo (e un autore) che ho amato molto. Per quanto riguarda la domanda, non credo di essermi prefissato, attraverso lo stile, di alleggerire il carico. Credo piuttosto di aver voluto dare un taglio realista e pratico, cercando di non infossare con le parole una materia che non è leggera né pesante: semplicemente la vita e le relazioni tra individui.
Quali sono i tratti che contraddistinguono le vite dei protagonisti del tuo romanzo “Cimicefarfalle”?
Questa è un’ottima domanda. Nel romanzo, o perlomeno nelle mie intenzioni, c’è la volontà di proporre attraverso i personaggi quelli che sono i limiti più netti della nostra dimensione esistenziale. Tutti i personaggi del libro compiono errori, cadono nell’equivoco, esercitano l’inganno e manifestano quasi grottescamente le proprie imperfezioni.
Insomma, volevo restituire al lettore l’idea di personaggi che anelano alla bellezza della farfalla senza riuscire a discostarsi dalla disarmonia della cimice; dimenticando però il dato di fondo: entrambi sono insetti.
Domanda scontata ma necessaria, vista la natura del romanzo: cosa c’è di te in Diego?
Per forza di cose attraverso i miei personaggi esprimo parti di me e della mia visione del mondo. Nello specifico però, soprattutto in Diego, io di me ritrovo pochissimo.
Anzi, potrei dire che Diego, in un’ipotetica vita reale, sarebbe per me probabilmente una figura di contrasto completo; un’immagine speculare e contraria, qualcosa ai miei antipodi, che in parte mi intimorisce e in parte mi disturba.
Quando e come hai deciso di scrivere questo romanzo?
L’idea di questo romanzo è nata nel 2017. All’inizio l’impianto della trama era leggermente diverso e non comprendeva tutti personaggi che poi sono nati.
Non lo nego, La bottega di narrazione di Giulio Mozzi, scuola di scrittura che ho frequentato nel 2019 ha contribuito a ridefinirne i contorni, ma l’idea che mi pervase all’inizio è rimasta intatta.
Raccontare una storia dolorosa e priva di grande speranza, ma farlo senza sprofondare nella lingua o nella commiserazione e, soprattutto, lasciare al lettore un’àncora, qualcosa a cui fare appello per non sprofondare.
Quali sono gli autori che preferisci e dai quali ti sei sentito ispirato?
Mi è piaciuto molto il primo Baricco, Kundera appunto, Ammaniti e il primo De Carlo.
Adoro Buzzati.
Non credo di avere uno stile di riferimento però: scrivo secondo una mia musicalità, che di certo non sarà originale, ma è ciò che sento.
Ho scritto questo libro come se compissi un atto di bricolage insomma.
Ho montato e smontato i pezzi questa storia con l’unico fine di renderla più piacevole e solida possibile.Ci sono riuscito?
Ho fatto del mio meglio, del mio meglio per ora.
3 aggettivi per descrivere la scrittura.
Se intendi la scrittura in senso generale, beh:
La scrittura è un’arte musicale, terapeutica e di certo rivoluzionaria.